Stringhe ovvero la Danza “abbandonata” di Shiva

Stringhe. La Danza di Shiva
Inizio e fine di una teoria

< I > Fino a qualche anno fa, qualcuno si stava impegnando a comporre una nuova visione dell’universo, una teoria in grado di accogliere fra le proprie braccia le infinitesimali questioni dell’atomo e le macroscopiche sfaccettature della materia: un insieme di idee raccolte sotto la denominazione di “Teoria delle stringhe“. Questa teoria era candidata – con sempre meno credito ormai – a essere una delle “Teoria del tutto” a garantire una comprensione adeguata dell’universo, che continua ad essere spiegato attraverso due insiemi distinti di leggi, in grado ciascuno di spiegare correttamente una parte della realtà conosciuta ma in contrasto fra loro, la relatività e la meccanica quantistica.

< I > Al giorno d’oggi il Modello Standard di Peter Higgs, risulta essere invece la più attendibile fra le teorie in grado di fornire una visione d’insieme il più completa possibile. Soprattutto alla luce delle recenti dimostrazioni dell’esistenza del Bosone di Higgs (Esperimento Atlas e CMS del Cern – 2014) e delle onde gravitazionali (Sperimenti Ligo e Virgo – 2016) ma questa è un’altra storia.

La danza del cosmo

< I > La teoria delle stringhe, tuttavia, è stata una bella avventura. Tali stringhe erano state pensate come minuscole particelle di energia, che vibravano come corde di un violino, e che (ri)rendevano l’universo conosciuto e sconosciuto alla pari di una perenne e incessante sinfonia cosmica. In questa “danza di Shiva” si attivava anche la necessità di implicare l’esistenza di universi paralleli, per la precisione di undici dimensioni additive collocate le une accanto alle altre.

Questo approccio completava un percorso già iniziato da Einstein nei suoi ultimi anni di vita a Princeton quando stava lentamente elaborando una teoria in grado di soddisfare la propria esigenza, ovvero quella di ridurre il Tutto conosciuto a una unica equazione Master. Ogni elemento risultava composto da un solo tipo di ingrediente ultimo che, secondo i teorici delle stringhe, veniva reificato attraverso questi piccoli anelli di energia vibrante i quali, muovendosi, davano origine alle componenti della natura, le stringhe per l’appunto.

Il mondo macroscopico

< I > Ma tutto ebbe inizio nel 1865, l’anno in cui Newton rivoluzionò l’idea di Universo, facendo della forza che attira la sua mela verso il centro della terra la stessa cosa della forza che mantiene la luna in orbita attorno a noi. Grazie alla sua elaborazione teorica e matematica della gravitazione universale si giunse all’unificazione concettuale dei cieli e della terra. Ma questo approccio, resistito comunque per oltre due secoli, risultava assai balbettante per uno come il giovane impiegato svizzero dell’ufficio brevetti. I suoi primi studi si rivolsero verso l’approfondimento del comportamento della luce e della sua velocità, facendo di quest’ultima il limite massimo di velocità del cosmo. In questo ambito l’attrito con la concezione di Newton, secondo cui la forza di gravità funzionerebbe istantaneamente a ogni distanza, si rese più evidente.

Secondo Eistein la luce non viaggia istantaneamente ma, per esempio, impiegherebbe otto minuti per percorrere i 149.000.000 km che separano la terra dal sole: nemmeno la gravità viaggia più veloce della luce quindi. Il fisico svizzero allora ideò un sistema in cui la forza gravitazionale non superasse il limite di velocità cosmica, esplicato attraverso una nuova idea di unificazione che chiamò tessuto spazio-temporale. In esso convergevano le tre dimensioni spaziali conosciute e la quarta dimensione, quella del tempo; gli oggetti si sarebbero così spostati sulla superficie spazio temporale, per rendere meglio l’idea molto simile a un tappeto elastico, e tale curvatura, prodotta dal sole o altre stelle o più in generale corpi di enormi dimensioni, creerebbe la gravità. Per Eistein quindi la gravità è la curvatura del tessuto spazio-temporale, resa concettualmente dalla relatività generale.

Le quattro forze fondamentali dell’universo

< I > Ma non si fermò qui, perché nel suo tentativo di trovare l’equazione unica per descrivere l’universo intero, in una visione totale del progetto divino, rimaneva ancora fuori l’elettromagnetismo. Poco tempo prima, infatti, James Clark Maxwell aveva reso in linguaggio matematico la relazione che lega l’elettricità e il magnetismo attraverso le quattro equazioni della forza elettromagnetica. La tensione intellettuale di Eistein quindi si concentrò sul connubio Newton & Maxwell ma proprio ora sorse il problema fondamentale della fisica novecentesca: la forza di gravità è più debole dell’elettromagnetismo e agisce solo sulle grandi masse.

Cosa succede a livello microscopico?

Questa è un’altra storia e ha altri protagonisti.

< I > I primi due decenni del novecento furono cruciali per il modo con cui fisici e filosofi furono coinvolti nel nuovo modo di concepire la fisica teorica. Attorno al 1920, infatti, Niels Bohr ipotizzò che gli atomi fossero costituiti da particelle ancora più piccole, addentrandosi in un mondo dove sia la forza di gravità che l’elettricità e il magnetismo risultano insufficienti a garantire una certa coesione.

La nascita della meccanica quantistica sconvolse i modi di pensare l’universo dal momento che nega apparentemente l’ordine e la prevedibilità su cui pure Eistein ha sempre confidato. Per Bohr il mondo delle particelle subatomiche è completamente governato dalla probabilità e dalla casualità.

Dieci anni più tardi si aggiunsero altre due leggi a quelle di cui abbiamo fino ad ora parlato. La forza di interazione forte, il collante che unisce protoni e neutroni nel nucleo atomico, e la forza di interazione debole, che consente ai protoni di trasformarsi in neutroni con una conseguente emissioni di radiazioni. La meccanica quantistica in questo modo spiega l’infinitamente piccolo ma non tratta della gravità.

< I > La fisica quindi affronta due tronconi di oggetti ben distinti. Quelli grandi e pesanti, per cui vale la gravità e i principi di causalità, e quelli piccoli (atomi e particelle) dove entra in gioco la meccanica quantistica e la casualità. Due dottrine entrambe vere ma che si contraddicono a vicenda. Ecco dove sta il paradosso che la moderna teoria delle stringhe tenta di aggirare.

Non meno famoso, e fondamentale per il nostro discorso, è il concetto di buco nero, ovvero quella enorme massa di materia (e quindi di energia secondo l’equazione E = mc2) concentrata in una superficie molto piccola che teoricamente deformerebbe la struttura spazio-temporale e dove nemmeno la luce riuscirebbe a uscire dalla propria attrazione gravitazionale. Il centro del buco nero, per essere spiegato coerentemente, deve poter essere ricondotto a entrambe le teorie. Quella della gravità e quella elettromagnetica dato che esso è sia “piccolo” che “pesante”.

Una conclusione che non è una conclusione

< I > La Teoria delle stringhe quindi avrebbe potuto conciliare sia l’infinitamente grande che l’infinitamente microscopico, dove ogni elemento della natura, dalle forze alla materia, sarebbe dovuto essere composto da questi ultimi ingredienti infinitesimali, questi anelli di energia vibrante che si deformavano in maniera differente e andavano in questo modo a costituire le diverse particelle elementari.

Il fisico John Schwarz, uno dei padri fondatori dell’idea di Superstringa, assieme a Michael Green, Gabriele Veneziano e Leonard Susskind, fece un passo in avanti molto importante quando, teorizzando il gravitone, avrebbe potuto finalmente gettare le basi matematiche per una teoria quantistica della gravità. Tale particella, infatti, sarebbe in grado di trasmettere la gravità nel mondo dei quanti, realizzando in questo modo il sogno di Eistein di racchiudere le quattro forze principali in una “Teoria del tutto”.

Ma come insegna la storia della fisica, mai abbandonare un’idea. Può tornare sempre utile.

 

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