Natalie Diaz è una poetessa mojave della Gila River Indian Community, ex giocatrice di pallacanestro e attivista, che recentemente è stata pubblicata in Italia grazie al contributo di John Freeman nel volume che ha curato insieme a Damiano Abeni “Nuova poesia americana, Vol. 1” (Edizioni Black Coffee, 2019) e nella rivista Freeman’s, edito sempre dalla Black Coffee.
Un suo pezzo in prosa si intitola Corpi a prova di gioco e parla, per l’appunto, di corpi.
Diaz plasma fondamentalmente aspetti solo in apparenza molto distanti gli uni dagli altri: il gioco del basket e il nomadismo, l’agonismo e le migrazioni, l’essere nativi e messicani con l’essere queer. Il sentirsi diversi e accettati.
Al centro di tutto c’è l’essere umano nella sua complessità.
Diaz usa il corpo e, descrivendo i movimenti che si ripetono sul parquet o sul cemento di un playground, racconta come si attacca e si conquista lo spazio in campo e anche sul territorio, come ci si sposta da un punto all’altro dell’area e come si valica una frontiera.
Al centro di tutto c’è l’essere umano con i propri limiti, fisici e mentali.
Il corpo avanza sempre verso il futuro, indubbiamente. Non si può negare una delle fondamentali leggi della termodinamica. Una legge unidirezionale che va assecondata per sopravvivere in una realtà dove, tuttavia, ogni tanto è necessario far saltare uno schema, fintare, improvvisare, oltrepassare un recinto, affidarsi a un compagno di squadra, andare a canestro, superare un blocco mentale. Ovvero imparare a sopravvivere in una società che non rispetta le diversità.
Dimostrarsi forti. Molto più forti di quelli di fronte a sé.
Il corpo e il volto di Bill Russell – Overtime. Storie a spicchi – 12 febbraio 2021