Paracelso medico e mago. Una vita | parte seconda

Paracelso

 

1.2. – I viaggi: itinerari di Paracelso fra università, sette, compagnie

< I > La tensione e la spinta del suo indomabile spirito portarono Teofrasto ad intraprendere due lunghe serie di viaggi, che lo condurranno dalle più importanti città dell’Europa centro-settentrionale, dove viene attestata la sua presenza, fino alle località del vicino oriente in cui, si dice, apprese le nozioni fondamentali dalle culture orientali legate all’ambito alchemico.

Dopo la morte del suo maestro Tritemio, la prima tappa delle sue peregrinazioni fu il Tirolo, in cui continuava a godere dell’amicizia del suo protettore Sigismondo Füger, presso il quale trovò lavoro. Questo gli permise di entrare nella disputa legata all’uso delle sostanze inorganiche usate per la cura delle malattie, in particolar modo nella cura della sifilide, per la quale veniva usato il mercurio che provocava intossicazione come effetto collaterale. Teofrasto riuscì ad eliminare l’effetto tossico del mercurio valorizzandone il principio attivo.1

A Vienna conseguì il titolo di baccelliere presso l’università locale, sotto la guida dell’umanista svizzero Joachim de Watt detto Vadiano, rettore dell’Università nonché amico del padre. Dopo aver visitato Parigi e Montpellier, città dal forte influsso arabo in cui aleggiava ancora il ricordo dell’opera del celebre alchimista Armand de Villeneuve, scese in Italia dove stanziò per un breve periodo a Padova.2 Nella tappa successiva, Bologna, seguì le lezioni di Berengario da Carpi (1470-1530), ma anche qui non si trattenne a lungo. A Ferrara la sua permanenza fu più duratura e fruttifera, sostenne infatti di aver seguito le lezioni di anatomia di Nicolò Leoniceno (1428-1524) e di Giovanni Menardo (1462-1536).3

1.2.1 – La questione della laurea

Una questione tuttora irrisolta riguarda la laurea del giovane Paracelso. La mancata documentazione a riguardo è dovuta alla disorganica registrazione delle matricole e delle lauree riconosciute da parte dell’Università di Ferrara. D’altro canto, quando nel 1526 Teofrasto si stabilisce a Strasburgo, si iscrive alla gilda dei mugnai e commercianti, non in quella dei medici e degli speziali; questo probabilmente è anche dovuto alla necessità di un rapido ottenimento della cittadinanza.

1.2.2 – La ripresa dei viaggi

Dopo aver visitato alcuni dei più importanti centri di cultura rinascimentali, il secondo itinerario dei suoi viaggi venne finalizzato alla ricerca sul campo. Una sorta di tirocinio lo compì allo scoppio della guerra nei Paesi Bassi (1516-1517), al servizio dell’esercito olandese come chirurgo militare. A questo periodo sembra risalire l’uso del suo famoso spadone “AZOTH”, da cui non si separò mai e all’interno del quale si dice che tenesse del laudano o della polvere per tramutare i metalli vili in oro.4 Il secondo incarico lo ricevette al servizio dell’esercito danese di Cristiano II di Danimarca, dove poté mettere in pratica un decotto antiemorragico appreso da una dama svedese.

Corre ormai l’anno 1520 e di Paracelso si perdono le tracce dopo l’esperienza al servizio dei Danesi; Lituania, Polonia, Ungheria, Romania sono solo alcune delle probabili destinazioni. Van Helmont nel suo Tartari Historia e precisamente nel capitoli Ortus e Vita Paracelsi afferma che Paracelso si trovava a Mosca quando venne rapito dai Tartari e condotto presso il Khan, successivamente liberato e condotto a Costantinopoli dove ricevette la Lapis Philosophorum, probabilmente dal suo conterraneo Salomone Pfeiffer detto Trismosinus. Secondo Bianchi a questo periodo si deve la prima stesura degli appunti raccolti sotto il titolo di Undici trattati sull’origine, le cause, i sintomi e la cura di singole malattie (Elf Traktate von Ursprung, Ursachen, Zeichen und Kur einzelner Krankheiten) dove viene introdotta l’idea dell’individuo umano come microcosmo.5

Notizie più sicure invece collocano Teofrasto al servizio dell’esercito della Serenissima, alleata col sovrano francese Francesco I ed impegnata nello scontro simultaneo avvenuto tra il 1521 ed il 1525, contro l’imperatore Carlo V e contro gli Ottomani di Solimano II per la difesa dell’isola di Rodi, sede dell’Ordine dei Cavalieri di San Giovanni.

1.3 – Il rientro nella Mitteleuropa

Dopo le esperienze come chirurgo militare sotto gli ordini della Repubblica di Venezia, sostò nelle città universitarie di Tubinga e Friburgo. A Salisburgo invece, prima di rimanere coinvolto nelle lotte intestine fra i ceti contadini e i minatori, stenderà parte di un’opera sui disturbi metabolici. Altre annotazioni riguarderanno le malattie podagriche ed un trattato di eziologia, successivamente ritrattate nel Paramiro. La sua repentina fuga lo porterà nei luoghi di Baden e Suebia, in prossimità di sorgenti di acque termali di cui valorizzerà le proprietà terapeutiche. È da sottolineare che miniere e corsi d’acqua attireranno più volte l’attenzione di Paracelso lungo tutto l’arco della sua vita.

Nel 1526 lo ritroviamo a Strasburgo, iscritto, come detto precedentemente, nella corporazione dei mercanti e mugnai. Nella città imperiale dell’Alsazia regna un clima di relativa tolleranza, la scuola di chirurgia è rinomata e conosciuta e Paracelso può svolgere contemporaneamente le attività di medico e chirurgo senza generare risentimenti.

Il Circolo dei Riformatori accoglie favorevolmente l’opera del medico, ormai trentatreenne, ma la situazione peggiora in seguito alla miracolosa guarigione, operata da Teofrasto, di Filippo I margravio del Baden, malato di dissenteria e destinato a morte sicura secondo l’opinione dei medici locali. Successivamente però la corte si lasciò coinvolgere nella politica diffamatoria attuata dagli avversari e lo costrinse a lasciare Strasburgo.

1.3.1 – Permanenza a Basilea

A Basilea giunse, accompagnato da una buona reputazione, nei primi mesi del 1527. Qui ebbe modo di conoscere e frequentare l’umanista ed editore Johannes Frobenius e, soprattutto, Erasmo da Rotterdam. Il primo soffriva di una forma di cancrena a un arto inferiore, giudicata inguaribile dai medici di Basilea; il secondo, invece, risentiva di una formazione della pietra, i calcoli, nella vescica biliare; Paracelso curò entrambi con ottimi risultati.

In seguito a questi inaspettati risanamenti la sua fama crebbe a dismisura, tanto che i Riformati di Basilea, che facevano capo a Giovanni Ecolampadio, lo nominarono medico municipale attuando forti pressioni sul consiglio cittadino. Il posto occupato da Paracelso, oltre alla gestione delle incombenze mediche quotidiane, assicurava il diritto nonché il dovere di tenere le lezioni all’Università. Teofrasto si scontrò per la prima volta con l’incarico dell’insegnamento accademico, da lui fortemente rifiutato. Ciò a cui si opponeva Paracelso era il metodo didattico attraverso il quale si insegnava il sapere ereditato dai classici. Sebbene tenesse le lezioni in lingua autoctona, e quindi non nella lingua universitaria ufficiale, esaltando in questo modo il divario fra la sua innovativa esperienza ed il dogma ereditato dalla cultura tradizionale, i suoi primi insegnamenti si concentrarono sul commento degli Aforismi di Ippocrate, del quale condivideva la teoria del similia similibus curantur.

Questo concetto, che ai giorni d’oggi si potrebbe associare all’omeopatia, si contrapponeva all’approccio della medicina ufficiale basato sulla patologia umorale teorizzata da Polibio, genero di Ippocrate, attorno al 410 a.C. e sistemata dal medico di Pergamo Galeno (130 – ca. 200). Quest’ultima teoria identificava le malattie con l’espressione della perdita dell’equilibrio e della giusta proporzione dei costituenti fluidi dell’organismo, cioè degli umori (sangue, flegma, bile nera e bile gialla) e delle loro qualità (caldo, freddo, umido e secco).6 Lo squilibrio umorale veniva curato attraverso il principio dei contrari7 ed è proprio questa idea di patologia che Paracelso rifiutò, sostituendola con il principio del “simile cura simile”.

Le sue lezioni all’Università furono essenzialmente di carattere pratico, aperte anche ai chirurghi-cerusici e proprio per questo suscitarono molte polemiche da parte della classe medica tradizionale che non ne condivideva l’approccio basato sull’esperienza diretta. Il 24 giugno 1527, giorno di San Giovanni, durante il quale gli studenti secondo la tradizione accendevano dei falò, Paracelso gettò tra le fiamme uno dei testi classici della medicina scolastica8 Nella prefazione del Das Buch Paragranum lo stesso Teofrasto afferma: “Ho gettato la Summa dei libri nel fuoco di San Giovanni, affinché ogni sventura dileguasse nell’aria col fumo”9

Questo gesto sollevò immediatamente le reazioni degli avversari che non tardarono ad inquadrarlo all’interno delle lotte fra cattolici e protestanti. Il soprannome datogli dagli oppositori “Lutero della medicina”, ne amplificò la diffidenza da parte della fazione cattolica, diffidenza che esplose alla morte di Frobenius, suo protettore, deceduto per un colpo apoplettico e per il quale lo stesso Paracelso fu accusato di averne provocato la morte.

La situazione peggiorò quando il suo amico e segretario Giovanni Oporino lo tradì, offrendo ai suoi detrattori spunti offensivi e segreti di cui ancora non erano a conoscenza.

1.3.2 – Fuga da Basilea

La precipitosa fuga da Basilea portò Paracelso nella cittadina di Colmar, dove incontrò l’amico ed umanista Valentino Boltz e dove iniziò la stesura della sua poderosa opera La Grande chirurgia. A Norimberga invece fu accolto con molta ostilità, tanto che, quando la sua attenzione ed i suoi studi si rivolsero verso la sifilide, importata di recente dalle Indie Occidentali e diffusa dalle armate di Carlo VIII, riuscì a pubblicare solamente i primi tre degli otto libri del De morbo gallico a causa del divieto imposto dalla facoltà medica di Lipsia.10

Nel 1531, dopo la sosta a Beratzhausen in cui completò il Das Buch Paragranum, Paracelso chiese ospitalità alla nobile famiglia degli Schobingen, stabilendosi per due anni a San Gallo. Qui concluse il Das Buch Paramirum, opera dedicata all’amico Vadiano che però non trovò un editore disposto a pubblicarla.

Successivamente si spostò nelle località alpine dell’Appenzell, nella valle dell’Inn a Innsbruck ed in Tirolo, dove scrisse il De morbis metallicis e dove si concentrò sulla cura delle malattie alpine, in particolare quelle che colpivano il gozzo dei montanari. In questo modo proseguiva gli studi nel campo che da sempre prediligeva e che gli garantiva le maggiori soddisfazioni sia sul lato umano che su quello medico: la malattia professionale.

Nel 1536 a Ulm Paracelso trovò in Heinrich Steiner l’editore disposto a divulgare la Grosse Wundarznei (Grande Chirurgia), trattato in cinque libri dedicato al re Ferdinando I, fratello dell’imperatore Carlo V, uno dei pochissimi testi che Teofrasto riuscì a farsi pubblicare durante la sua breve vita. A questo periodo risale l’incisione eseguita da Augustin Hirschvogel, considerata con tutta probabilità la riproduzione più autentica dei tratti somatici di Paracelso. Sotto la raffigurazione sono inoltre riportati due motti piuttosto significativi per chi voglia inquadrare meglio la figura di questo medico errante: “Alterius non sit, qui suus esse posset” (Non sia di altri chi può essere il padrone di sé stesso) e “Omne donum perfectum a Deo imperfectum a Diabolo” (Perfetto è ogni dono di Dio, imperfetto ogni dono del diavolo).

1.4 – Arrivo a Salisburgo e la morte

Le ultime tappe lo condurranno in varie località dell’Austria prima di fare ritorno a Salisburgo dove, il 24 settembre del 1541, troverà la morte in circostanze piuttosto misteriose.11 La sua salma verrà deposta nel cimitero dei poveri di San Sebastiano, ma, al di là delle supposizioni più fantasiose che circoleranno sulla sua morte, il suo corpo ed il suo spirito non troveranno pace nemmeno dopo la sepoltura. Per diversi motivi le sue ossa verranno riesumate nel corso dei secoli una mezza dozzina di volte, offrendo spunti per una numerosa serie di studi e ipotesi riguardanti la sua sessualità, il suo presunto omicidio, fino a congetturare una sua ipotetica fuga dalla civiltà inscenata da un apparente decesso.


1 Teofrasto imparò quindi a trattare “gli elementi chimici anche dal punto di vista alchemico, cioè astratto o astrale, secondo la concezione araba adottata da Geber che li considerava non soltanto in funzione materiale soggettivamente rappresentata, ma soggetti a specifici comportamenti in rapporto alle forze ed agli affetti delle influenze naturali e dei principi che le regolano”. P. Manolino, Paracelso alchimista, medico, mago, Torino, MEB, 1974.

2 Negli anni successivi, Padova diverrà il centro di propulsione per l’affermazione del metodo clinico propugnato da Paracelso, accompagnato dalle esperienze del medico patavino Giovan Battista del Monte (1498-1552). Costoro sosterranno l’introduzione della lezione clinica, intesa nel senso moderno del termine, nei corsi Universitari.

3 Nel lavoro eseguito dall’Istituto Paracelso Il medico, l’arte, la scienza, la virtù: materiali per una ricerca bibliografica e iconografica su Paracelso nella Biblioteca Casanatense, Roma, Edizioni Paracelso, 1993, vengono sollevati alcuni dubbi sulla reale presenza di Giovanni Menardo a Ferrara. Secondo uno studio eseguito dal Vitalini, Menardo dal 1513 al 1519 fu medico presso la corte di Ungheria e di conseguenza non può avere incontrato Paracelso nel suo periodo di soggiorno a Ferrara.

4 Il nome dello spadone nasconde dei significati oscuri, ed è assemblato secondo criteri cabalistici per cui si uniscono le prime e le ultime lettere dell’alfabeto latino (A; Zeta), greco (Alfa; Omega) ed ebraico (Alef; Thau).

5 M.L. Bianchi, Introduzione a Paracelso, Roma-Bari, Ed. Laterza, 1995.

6 P. Rossi (a cura di), Dizionario di filosofia, Firenze, La Nuova Italia Editrice, 1996.

7 “Se una certa malattia veniva considerata calda e di una certa grandezza, allora il corpo avrebbe sicuramente riacquistato la salute con una medicina giudicata fredda e della stessa grandezza.” A.G. Debus, La medicina chimica nella prima età moderna, in: Storia del pensiero medico occidentale, a cura di M. Gremek, Roma-Bari, Editori Laterza, 1994, p. 62.

8 Su questo argomento gli studiosi si dividono relativamente al testo gettato nelle fiamme. Molti indicano il Canone di Avicenna, opera basilare per la medicina dogmatica; il Sudhoff invece, come viene riportato nell’opera eseguita a cura dell’Istituto Paracelso (Roma, 1993), sostiene che possa essere la Summa di Jacopo de Partibus o in alternativa quella più antica di Tommaso del Garbo.

9 Paracelso, Paragrano, a cura di Francesco Masini, Milano, Se, 2002, p. 17.

10 In quest’opera viene smentito l’uso del mercurio e del guaiaco americano contro il “mal francese”. Paracelso dimostrerà la tossicità del primo elemento, che provocava la sindrome da mercurialismo, e l’inutilità del secondo. L’importanza dell’uso del guaiaco nella cura era stata amplificata dagli interessi economici a cui questo preparato terapeutico era legato. I Fugger di Augusta infatti detenevano il monopolio dell’importazione dalle Americhe ed era nel loro interesse mantenerne elevato l’uso, seppur fittizio, per incrementarne gli introiti.

11 Molti biografi concordano sull’ipotesi di una morte accidentale, per lento avvelenamento a causa del contatto con sostanze tossiche. Altri (ad esempio René Allendy in Paracelso: il medico maledetto, Milano, F.illi Bocca, 1942 ) suggeriscono l’idea di un decesso per morte violenta, dato che il 21 settembre 1541, tre giorni prima, dettò le sue ultime volontà al notaio Hans Kalbsohr.

 

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