Il vuoto caotico della battaglia moderna

battaglia moderna

< I > Che cos’è la battaglia moderna?
Quando i primi soldati tornarono dal fronte, o quando i reduci della Prima Guerra Mondiale si reinserirono nella società, l’aspetto che risaltò immediatamente agli intellettuali e che si fissò nell’immaginario collettivo fu il mutismo in cui questi stessi si chiusero. Un inesprimibile silenzio bloccò le loro coscienze, squarciate dagli orrori della trincea, vilipese dagli assurdi ordini a cui dovettero sottostare, e infine colpite dalla consapevolezza di essere stati testimoni e vittime di una guerra diversa. Una guerra mondiale, totale, in cui milioni di persone furono coinvolte, ma che, per la prima volta, vide la tecnologia come soggetto indiscusso per l’esito delle battaglie.

L’universo frammentato

L’ottimismo e il trionfalismo della belle epoque e delle avanguardie moderne fu spazzato via da una tragedia collettiva, il sistema interpretativo olistico, unidirezionale e progressivo del positivismo lasciò il posto a una interpretazione e una rappresentazione della realtà completamente mutata che si basava su un universo percettivo espressionistico e frammentato.

< I > Oltre all’arte, alla letteratura e alla filosofia, anche il cinema rispose a queste esigenze. Esiste infatti uno stretto rapporto che intercorre fra cinema, Prima Guerra mondiale e modernità e riguarda proprio l’aspetto di massificazione a cui questi tre fenomeni vanno incontro. Più in generale, parafrasando Walter Benjamin, possiamo affermare che shock sensoriale e visione frammentata fanno parte della modernità, la quale si concretizza anche attraverso il supporto della pellicola, rendendo il cinema un soggetto agente, testimone e metafora dell’uomo contemporaneo.

Il merito essenziale del cinema fu quello di aver reso evidente la natura esplicitamente macchinistica della Grande Guerra, di aver evidenziato i desolanti spazi che intercorrevano fra le due linee di trincee nemiche. Il cinema riuscì a dare sostanza concreta alla cosiddetta “terra di nessuno”, rese esplicita la vacuità del terreno dello scontro, mostrando uomini sotto terra, artiglierie che sparavano a ripetizione fuori dalla portata del campo visivo dei combattenti e rappresentando quello lo psicoterapeuta Ernst Jünger chiamò il vuoto caotico della battaglia moderna. Una battaglia fra macchine, fra apparati industriali e tecnologici in cui la presenza umana risultò insignificante. Una battaglia di uomini inermi contro altri uomini inermi.

Scacchiera e labirinto

Ma ciò che la settima arte riuscì a rendere più evidente fu proprio una delle più grandi contraddizioni che caratterizzarono il primo conflitto mondiale. Ovvero quella di essere stata una guerra sospesa fra il XIX ed il XX secolo. Mentre gli alti comandi concepirono la lotta come una partita a scacchi, i fanti interiorizzarono il conflitto come un non-luogo, uno spazio entropico in cui fu impossibile orientarsi, e la trincea divenne così un labirinto. Scacchiera e labirinto possono essere metafore di due diverse idee delle ostilità belliche: quella astratta dei generali e quella concreta delle truppe. La prima come pianificazione strategica razionale (rappresentata dal generale che dall’alto di una collina osservava la battaglia), la seconda come attività irrazionale a cui i soldati dovevano irrimediabilmente attenersi.

< I > Nel 1970 uscì nelle sale cinematografiche uno dei film più sottovalutati di Francesco Rosi, Uomini Contro, che racchiude e sviluppa al suo interno, in un modo piuttosto originale, alcuni degli elementi precedentemente elencati. L’esplicito antimilitarismo sulla follia della guerra si manifesta in tutta la sua durezza attraverso l’aiuto alla sceneggiatura di Raffaele La Capria e Tonino Guerra, i quali reinterpretano in maniera molto personale uno dei più importanti libri sulla Grande Guerra: “Un anno sull’Altipiano” di Emilio Lussu (1890-1975).

Lussu e l’Altipiano

Ma prima di proseguire con l’analisi del film è giusto soffermarsi sulla figura di questo scrittore sardo che si inserisce nel panorama intellettuale italiano di inizio secolo a fianco di altre figura importanti, alcuni dei quali subirono le ultime e più tragiche conseguenze della guerra. Scrittori come Slataper o Serra morirono sui campi di battaglia, altri, come Ungaretti, Gadda, o Comisso, si portarono appresso alle loro coscienze il peso di quella che non fu solamente una catastrofe generazionale. La cultura recepì il fenomeno della guerra con sfaccettature molto variegate. La subalternità di alcuni intellettuali all’interventismo, confidando nel ruolo guida della cultura, fino a considerazioni della guerra come “sola igene al mondo”, furono segnali molto espliciti.

L’interventismo moderato di Lussu si può leggere all’interno di quella vasta letteratura di memorie che tanto colpì il pubblico nell’immediato dopoguerra. Il romanzo, fortemente autobiografico, ci introduce direttamente in prima linea, durante il 1916, e più precisamente sul monte Fior dell’altopiano di Asiago, riallacciandosi alle esperienze dell’autore come ufficiale di fanteria della Brigata Sassari.

La condanna nei confronti di chi conduce in maniera errata la guerra è evidente, ma procede parallela alla giustificazione del conflitto sia da un punto di vista morale che politico. Il Luperini commenta il testo notando la forte carica individualistica che sfocia in un sovversivismo piccolo-borghese. Attraverso Lussu si nota come l’esperienza viene vissuta in modo individuale, non collettiva, lo shock è frammentato, incomprensibile e le dimensioni epiche della guerra sono filtrate dalla coscienza nella sua unicità e solitudine, e tutto questo nel film “Uomini Contro” traspare attraverso i frequenti e frenetici primi piani: Rosi isola con le inquadrature strette l’individuo dal contesto. Viene inoltre sottolineato (fatto che si ritrova ancora nel lungometraggio) la progressiva presa di coscienza politica di classe che l’ufficiale nota nella truppa.

Uomini contro

Rosi si prende molta libertà rispetto al testo di riferimento, sia modificando l’ordine e lo svolgimento dei fatti, sia trasformando il dolente e risentito tono dei ricordi personali di Lussu in quello di un pamphlet contro la guerra, e in questo caso è visibile l’ombra della guerra in Vietnam. La schematizzazione troppo rigida delle parti fa vedere come il potere sia nelle mani del generale, le vittime siano i componenti della truppa e agli intellettuali tocchi il ruolo di depositari dei valori umani e di coscienza critica destinata a soccombere dinnanzi alla malvagità della storia. La fuga rabbiosa contro la retorica ufficiale dell’eroico sacrificio dei combattenti si trasforma in una retorica uguale ma contraria con in primo piano l’eroico sacrificio delle vittime della Storia.

Si rende così sproporzionata l’atrocità inesplicabilmente classista della Grande Guerra. Rosi si muove fra soltanto due modalità schematiche di rappresentazione estetiche: la panoramica per visualizzare lo spazio in cui i soldati gravitano, apparendo così come accidenti della storia, e i piani ravvicinati per evidenziare la solitudine a cui la guerra porta. Questa dialettica troppo rigida veicola un messaggio altrettanto rigido che è una delle caratteristiche del cinema degli anni ‘70.

< I > Il chiaro messaggio contro il tabù patriottico porta alle estreme conseguenze il libro di Lussu e si riduce tutto a una guerra di classe. Nel film, alla domanda del generale Leone “che tipo di pace vuole”, Sassu risponde: “Una vera pace”. Nel libro, alla stessa domanda, la risposta del tenente è “Una pace vittoriosa”.

Rosi e il suo tempo

Rosi verso gli anni ‘70 si definiva come un marxista senza illusioni, che crede nella emancipazione dell’uomo e nella trasformazione. Per questo la sua tensione massima è quella di narrare fatti del suo paese con un atteggiamento proteso verso la conoscenza come riformatore del cinema e come riformatore politico, ovvero con un atteggiamento, che in termini un pò schematici, viene chiamato di impegno civile. Il 1968 studentesco ed il 1969 operaio influisce nel suo stile evidenziando il prorompere dell’azione che sconvolge ogni equilibrio: dall’accettato al cambiamento. Mutando i rapporti fra paese legale (politica delegata) e paese reale (politica vissuta), è quindi necessario da parte dell’intellettuale un prendere contatto con la realtà, senza però produrre un passivo ossequio alla moda impegnata.

Il regista ovvia a queste difficoltà proponendo con uno stile classico, un argomento scottante e ancora molto controverso. I conti col presente li fa attraverso l’argomento della prima guerra mondiale parallelamente accompagnati da una forte componente legata alla lotta di classe, che rimanda alla attualissima strategia della tensione e alla guerra fredda. Si rivolge a Lussu solo perché i libri di storia sono ancora contaminati di eroici combattenti e perché aveva bisogno di testimonianze dirette: per questo Uomini contro non è un film anacronistico.

La repressione si cela sotto molti aspetti: la celere con lo studente o l’operaio, soldati contro i soldati o appunto, uomini contro uomini. In questo caso però la guerra rischia di diventare una scusa per articolare un ragionamento politico rivolto al presente. Rosi infatti rilegge “Un anno sull’altipiano” in chiave marxista, in linea col cinema militante degli anni settanta. Sassu alla fine della sua presa di coscienza sulla prevaricazione dei soldati contadini, soccombe. Nel libro invece, il protagonista non viene mai meno al suo impegno come ufficiale dell’esercito.

Uomini dietro

< I > Il film in questione è inoltre (come anche Orizzonti di Gloria) a metà strada fra il war movie e il genere processuale. L’attività dei tribunali militari che commissionarono moltissime condanne capitali in tutti gli eserciti europei, è un argomento piuttosto scottante che tende ad essere evitato. Infatti, nel cinema degli anni ‘30, oltre alla ben marcata demistificazione dei valori patriottici e del militarismo, poco si parla dei tribunali. La lotta di classe quindi non traspare solo dalla presenza umana spazzata via dalla tecnologia, dai contadini come vittime sacrificali, ma traspare anche dalla natura processuale del controllo dei soldati. L’uomo contro l’uomo è evidente anche attraverso la presenza dei cosiddetti “uomini dietro”: carabinieri, cappellani, marescialli, giudici dei tribunali, ministri.

Tutti coloro che vegliano imperterriti sui fatti, non importandosi della questione delle scarpe per i soldati fatte con il cartone per arricchire gli speculatori o delle inutili stragi a cui erano destinate le truppe. Una scena significativa del film è quando gli austriaci implorarono gli italiani di non proseguire e di non andare verso la morte certa. La follia antimilitarista evidenzia anche gli errori dell’artiglieria “amica” che sbaglia direzione nelle cannonate. L’anacronismo dei vertici militari risulta evidente nelle Corazze Fasina che il generale Leone fa indossare ai soldati affinché risultassero invulnerabili alle pallottole austriache, quasi echeggiando un misticismo medioevale. Altro esempio: la carica eseguita col suono delle trombe rende vano l’effetto sorpresa. Echi ottocenteschi sono ormai inutili in una guerra di posizione.

La lucida follia

< I > La figura del generale appare in preda ad una lucida follia, a un automatismo paranoico, vittima di un autoidentificazione con il regolamento, pervaso da una grottesca astrattezza che poco si confà con l’arido realismo della truppa. L’irrazionalità eretta a sistema fa apparire la responsabilizzazione come un atto di insubordinazione, l’arte militare appresa nei libri di strategia fa in modo di non comprendere l’essenza di una nuova guerra. In realtà il carnefice sembra a sua volta niente più che il braccio armato dei veri nemici, degli sfruttatori, dei politici che si servono di lui. Il sacrifico del tenente Sassu, presente nella sceneggiatura del film, alla fine apparirà come una vittoria, la figura del fucilato che giganteggia sul plotone d’esecuzione, rende inerme sullo sfondo il plotone sconfitto.


BIBLIOGRAFIA

< I > S. Zambetti, Francesco Rosi, La nuova Italia, Firenze

< I > A. Viganò, Storia del cinema storico in cento film, Le Mani, Genova, 1997

< I > P. Pintus, Storia e film, trent’anni di cinema italiano, Bulzoni Editore, Roma, 1980

< I > A. Giaime, Cinema e Guerra, Utet, Torino, 2001

< I > G. Ferroni, Profilo storico della letteratura italiana, Einaudi Scuola, Milano, 1992

 

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