Un giorno di 10 anni fa Josh Moore fonda la AUDL (American Ultimate Disc League) la lega professionistica americana.
A che punto è il movimento e l’Universo Ultimate nel 2020?
Se, chiacchierando fra amici, parliamo informalmente di Frisbee e i primi pensieri che vengono in mente sono unicamente relativi ai sonnolenti pomeriggi estivi in spiaggia o nei campi in cui, fra momenti di ozio e i fumi di una grigliata in compagnia, alcune pigre persone si divertono a compiere qualche avventuroso lancio, siamo ancora piuttosto distanti da una realtà ben più stratificata e affascinante.
Se invece l’unica cosa che viene in mente è un agile cane che scodinzolando salta ad afferrare il disco lanciato dal suo padrone sugli assolati prati verdi di Central Park, attività comunque riconosciuta e chiamata Frisbee Dog, allora è bene dire che ci stiamo allontanando sempre di più dalla corretta percezione di questo Sport.
From the beginnig
Prima di tutto prendiamo le distanze dal termine che ho utilizzato nel paragrafo precedente ed eliminiamo un’inesattezza terminologica legata alla parola propria Frisbee. Questo sport, originariamente chiamato “Ultimate Frisbee”, viene ora chiamato semplicemente “Ultimate” in quanto il nome Frisbee è un marchio registrato dalla Wham-O, la popolare società americana di giocattoli con sede a Carson, California, che ha creato fra l’altro anche l’Hula hoop, lo Slip ‘N Slide e per l’appunto in tempi più recenti il Frisbee che, tuttavia, nonostante il passare del tempo non ha ancora perso lo spirito indicato da uno dei famosi slogan commerciali: “Throw a frisbee at someone, make a new friend today”.
L’origine del Frisbee ha connotati a tratti leggendari che vede come diretti protagonisti alcuni studenti esuberanti ma dotati di pensiero laterale, metallici piatti da torta e abili imprenditori.
Negli anni trenta del novecento la ditta dolciaria “Frisbie Pie Co.” rifornisce le mense universitarie dello Stato del Connecticut di torte e crostate. A constatare l’aerodinamicità delle teglie su cui sono serviti i dolci ci pensano direttamente gli studenti. Molto probabilmente all’insaputa degli insegnanti e degli educatori è possibile immaginare che se si lascia un gruppo di ragazzi e alcuni piatti in grado di volare nella stessa stanza, è possibile (se non del tutto probabile) che questi oggetti inizino a compiere traiettorie inaspettate in aria.
Successivamente anche Walter Frederick Morrison, pilota statunitense di ritorno dalla seconda guerra mondiale e quindi di spirito evidentemente affine agli oggetti volanti di qualsivoglia natura, ne rimane affascinato. Decide quindi insieme al suo socio Warren Francisconi di perfezionare questo attrezzo utilizzando la plastica, al posto delle leghe metalliche in uso per i prodotti dolciari.
Il “Flying Saucer”, ribattezzato poi “Pluto Platter” sulla scia dell’entusiasmo dell’epoca in seguito alla scoperta del nono pianeta (ora declassato) del nostro sistema solare, viene commercializzato nel 1948. Una volta venduti i diritti alla “Wham-O” e lanciata la produzione di massa, si arriva infine all’attuale “Frisbee”, che riprende il nome del pasticciere da cui la leggenda legata all’oggetto in questione trae la propria origine.
Quest’ultimo è quindi un termine registrato e quando si parla dello sport legato al disco volante (flying disc) è bene parlare di Ultimate e delle sue varianti e/o estensioni, ciascuna giocata con il proprio disco specifico: Ultimate, Beach Ultimate, Freestyle, Disc Golf, Guts, Distance, Accuracy, Discathon, Double disc court e Self Caught Flight, più la già citata del Frisbee Dog.
Al giorno d’oggi questa gamma di dieci discipline è praticata da quasi 7 milioni di persone al mondo in tutti i continenti con ben 62 paesi che aderiscono alla World Flying Disc Federation (WFDF) la Federazione Mondiale che racchiude le dieci varianti, che riunisce tutte le diverse federazioni nazionali e che ogni quattro anni organizza le rassegne iridate. Dal 2015, inoltre, la WFDF e gli sport del Flying Disc sono stati pienamente riconosciuti dal Comitato Olimpico Internazionale (CIO).
L’attrattiva nei confronti dell’Universo Ultimate in tutte le sue versioni risiede essenzialmente nelle particolari potenzialità aerodinamiche del disco che combinata a velocità di uscita e rotazione sono le forze da gestire per realizzare traiettorie vincenti e stabili, anche molto diversificate. I movimenti di tagli e corse in profondità per ricevere direttamente in endgame il disco decisivo dal proprio compagno o, in alternativa, i tricks necessari per portare a termine le operazioni più spettacolari portano la coordinazione occhio-mano-gambe ad un alto livello di specializzazione.
Ma la storia del Gioco e del suo relativo Spirito viene da lontano. Una forma primordiale di Ultimate prende lo slancio definitivo nel 1968 grazie a un gruppo di studenti della Columbia High School di Maplewood, Contea di Essex, piccola cittadina nello Stato del New Jersey.
Qui, sul finire degli anni ‘60, al termine di un decennio turbolento che ha scosso la società statunitense e mondiale ridefinendone costumi, valori e aspettative, nel parcheggio della locale scuola superiore Joel Silver e gli amici Buzzy Hellring e Jonny Hines rielaborano un gioco con il Frisbee che l’estate precedente avevano imparato da Jared Kass, uno studente dell’Amherst College, dell’omonima cittadina del Massachusett, educatore in un campo estivo per liceali.
Oggi Kass è professore di psicologia e counseling alla Lesley University di Cambridge, Massachusetts, e lavora come visiting scholar presso il “Benson-Henry Institute for Mind Body Medicine” del Massachusetts General Hospital e in un intervista rilasciata al Daily Hampshire Gazette ha espresso in maniera piuttosto fatalistica che “Niente di tutto ciò era previsto. È meraviglioso il modo in cui tutto è successo in un modo organico.” Da attività ludica all’aria aperta a disciplina olimpica in maniera quasi spontanea e naturale, si potrebbe dire. It’s easy.
Like a Flying Dics
Kass ha per primo scagliato il disco in un contesto di squadra, senza tuttavia conoscerne la traiettoria che questo lancio avrebbe intrapreso, in quanto più di tutti è Joel Silver, considerato il Dio dell’Ultimate, colui che ha fornito la scintilla decisiva per la trasformazione di questo sport in competizione strutturata e come nella Creazione di Adamo di Michelangelo Buonarroti è possibile immaginare un disco che viene passato da Joel alla giovane e atletica figura di Adamo, disteso sui prati adiacenti all‘Amherst College.
Silver, che nel 1970 si è iscritto al Lafayette College dove è stata costituita la prima squadra di Ultimate e dove successivamente è diventata disciplina sportiva obbligatoria, al giorno d’oggi fa il produttore cinematografico. Nel 1985 fonda la Silver Pictures ed è anche il co-fondatore della Dark Castle Entertainment, con Robert Zemeckis e Gilbert Adler, una suddivisione della Silver Pictures e affiliata alla Warner Bros specializzata in film horror e thriller.
Visti gli anni in cui è nato non dovrebbe sorprendere più di tanto che l’idea di fondo di questo sport venga fortemente influenzato dallo zeitgeist che si respira durante una decade in cui politica e idee contro l’establishment portano a una maggiore consapevolezza del proprio senso civico, guidati dal rispetto e dall’autodisciplina.
Se osserviamo bene i principali valori fondanti dell’Ultimate legati all’amicizia, alla non-violenza, all’integrità, al mutuo rispetto e al divertimento possono essere di buon grado associati agli ideali portanti della controcultura, alle idee del Free Speech Movement, alle azioni politiche di Martin Luther King e alle tracce canore di Bob Dylan.
Il Massachusetts, con le sue eleganti cittadine apparentemente amene e silenziose quali Amherst, Concord e Springfield, è stato fra l’altro nel secolo precedente dimora di piccole rivoluzioni e contestazioni nonché patria nativa di uno sport poi diffuso in tutto il mondo.
Nello specifico si parla di un gesto di ribellione silenzioso e riservato della poetessa Emily Dickinson, autoreclusa nell’universo-mondo del suo giardino, a di quello più radicale del filosofo e attivista Henry David Thoreau, isolatosi per due anni a Walden, sulle rive dell’omonimo lago, fino ad arrivare alla prima palla a due per mano di James Naismith e il suo cesto di pesche, simbolico atto fondativo della pallacanestro.
Questo per dire che da quelle parti, nel nord-est degli Stati Uniti, si respira una certa aria di sport condita con moti interiori che tradizionalmente tendono a minare l’ordine costituito, visto che in quello Stato sono emerse le eversive idee trascendalististe di Emerson, considerato un campione dell’autodeterminazione e un critico preveggente delle pressioni al conformismo che la società esercita sulle persone. Istanze poi esplose e successivamente implose nel corso degli anni sessanta del novecento con le rivolte studentesche e operaie.
Pasquale Antony Leonardo, autore del libro dal titolo “Ultimate. The greatest sport ever invented by man.” ha infatti sottolineato un aspetto che distingue questo da altri sport di squadra come il Football, per esempio, dove tattica, avanzamento e mantenimento della posizione conquistata lo fanno assomigliare a una vera e propria battaglia in cui tutto è permesso e dice: “Football is war […] Ultimate is Civil Disobedience”.
Disobbedienza Civile. Un termine che nel glossario filosofico nord-americano rimanda immediatamente al libro del già citato Thoreau, a rimarcare ulteriormente quella sottile linea spirituale che lega Ultimate, il Massachusset e i moti rivoluzionari degli anni sessanta in cui l’individuo o un gruppi di individui, mediante la propria disobbedienza, si ribellano a una società ritenuta corrotta, ingiusta e vessatoria.
Smells like teen Spirit (Of The Game)
Sono quindi passate sei decadi dai primi vagiti di questo sport. Ultimate al giorno d’oggi si configura come un movimento in espansione soprattutto in ambito scolastico e universitario. Sebbene assomigli a molti sport più diffusi nelle sue immediate esigenze atletiche per quanto riguarda la corsa, il salto e la coordinazione occhio-presa, continua a distinguersi per la propria attenzione all’auto-responsabilità, anche ai più alti livelli di competizione.
Giocare senza arbitri è la norma, tuttavia tale tendenza è stata lentamente soppiantata nelle competizioni di club con l’uso di “Observers”/”Advisers” per sbrogliare più velocemente le controversie e le leghe professionistiche impiegano arbitri abilitati, una su tutte l’AUDL, la lega professionistica statunitense.
A questo riguardo di strada ne è stata fatta tanta dalla prima partita riconosciuta giocata al CHS (Columbia High School) nel 1968 tra il consiglio studentesco e lo staff del giornale liceale. Poco dopo CHS, Millburn e altre tre scuole superiori del New Jersey costituiscono la prima Conference di team Ultimate nel 1971. Il passaggio da sport liceale a sport universitario è rapido via via che passano gli anni in quanto gli ex allievi di quella prima lega fra high school portano la propria passione all’università. Rutgers sconfisse Princeton 29-27 nel 1972 nella prima partita giocata fra college.
A margine, una piccola curiosità. La partita di Ultimate fra college è stata giocata esattamente 103 anni dopo la primissima partita di football americano esattamente dalle stesse squadre e nello stesso posto.
Infatti il 6 novembre del 1869 gli studenti provenienti dal College of New Jersey (ora Princeton University) si recano a New Brunswick, New Jersey, per affrontare il Rutgers College (ora Rutgers University). I Rutgers si aggiudicano entrambe le partite di due sport differenti a distanza di quasi un secolo.
Ad ogni modo la prima domanda che sorge spontanea quando ci si approccia a Ultimate “Perché non c’è l’arbitro?” non coglie appieno la sfumatura della questione che invece si percepisce solo invertendo i termini e chiedendosi la vera domanda: “Perché ci sono gli arbitri negli sport di squadra?”
Se non c’è l’arbitro, di conseguenza, non ci sono né sanzioni né trasgressori e questa basica inferenza avvalora ulteriormente l’utopica visione che sta alla base di questo sport, in quanto fondato sull’autodisciplina e sulla correttezza intrinseca dello stare in campo, invocando lo “Spirito Del Gioco” per mantenere il fair play. I giocatori sono invitati a chiamare i propri falli e contestano un fallo solo quando credono sinceramente che non si sia verificato.
Il SOTG (Spirit Of The Game) è ulteriormente contestualizzato e descritto nelle regole stabilite da USA Ultimate, secondo The Official Rules of Ultimate giunte ora all’undicesima edizione.
“Ultimate ha sempre fatto affidamento su uno spirito sportivo che pone la responsabilità del fair play sul giocatore. Il gioco altamente competitivo è incoraggiato, ma mai a spese del vincolo del rispetto reciproco tra i giocatori, dell’adesione alle regole del gioco concordate o della gioia di base del gioco.
La protezione di questi elementi vitali serve a eliminare la condotta avversa dal campo finale. Azioni come lo scherno dei giocatori avversari, l’aggressività pericolosa, il fallo intenzionale o altri comportamenti “vincenti a tutti i costi” sono contrari allo spirito del gioco e devono essere evitati da tutti i giocatori.”
In Europa e in altri continenti il gioco anche ai più alti livelli non ha arbitri. La maggior parte delle partite del campionato mondiale non ha avuto arbitri e le controversie sono state decise dai giocatori stessi.
Figure come gli Osservatori vengono utilizzati in alcuni tornei di alto livello al di fuori degli Stati Uniti, nonché in alcuni tornei organizzati da USA Ultimate. Chiamate e controversie vengono inizialmente gestite dai giocatori, ma gli Osservatori intervengono se non viene raggiunto un accordo fra le parti in tempi adeguati.
Nel campionato professionistico statunitense l’AUDL sono invece previsti veri e proprio arbitri per velocizzare alcuni aspetti del gioco e il ritmo della partita in generale. E questo ha generato non poche polemiche.
Visions of Josh
L’AUDL (American Ultimate Disc League) viene ufficialmente fondata da un Midwestern di nome Josh Moore nel 2010, una figura non conosciuta all’interno del circuito che si ammanta fin da subito in egual misura di scherno e curiosità. Moore, giocatore di rugby originario del Missouri, è colui che mette in moto tutto il sistema professionistico partendo da un vituperato modello di business piramidale.
Si colloca a metà strada fra l’eroe Don Chisciottesco che tutti aspettano e il Giuda traditore dello Spirito del Gioco. Infatti, una volta svelati i nomi, i loghi e i siti delle prime squadre, l’opinione che scimmiottassero una certa linea estetica legata al Football e al machismo della NFL è sulla bocca degli appassionati.
Quando i primi articoli di stampo giornalistico compaiono con molta serietà su un sito internet come Ultiworld, nato quasi contestualmente e diventato successivamente punto di riferimento e cassa di risonanza del movimento, viene percepito come l’ennesima appropriazione della cultura tradizionale applicata a uno sport eccentrico e borderline dal punto di vista della competizione come Ultimate.
L’opinione condivisa fra gli appassionati è che l’AUDL aspirando ad una virilità sportiva basata sulla rivalità sfrenata e l’agonismo professionistico sia una bolla destinata a esplodere.
La stagione d’esordio viene comunque inaugurata nell’aprile del 2012 con otto squadre coinvolte al primo storico pool. Fin dall’ideazione di una lega professionistica i dubbi sono molti e sono essenzialmente legati a due fattori, uno interno e uno esterno: Ultimate ha alle spalle fino a quel momento decenni di imprenditoria senza successo unita a una leadership reazionaria.
Il problema interno al movimento è quello che fa cozzare i principi cardine dello Spirit Of The Game con le esigenze di business e di competizione. La paura di snaturarne il Gioco è viva e palpabile.
Tuttavia il piano apocrifo proveniente da un soggetto esterno a questo sport ha una particolare possibilità – forse anche l’unica possibilità – di cambiarne la rotta. Praticamente da un giorno all’altro l’idea inizialmente folle e incongruente ha tutto sommato successo e anche i media a maggior diffusione rispondono.
L’11 aprile del 2012, in concomitanza con l’esordio dei professionisti e la prima partita dell’AUDL, compare il primo articolo dedicato ad Ultimate su un sito mainstream come Slate, nella sezione cultura. L’autore, Daniel Lameti, si chiede molto semplicemente se possa prima o poi diventare un business e se gli Stati Uniti siano o meno pronti a recepire il potenziale economico di uno sport come questo.
Lametti si confronta con la visione di Josh e l’ottimismo è avvalorato prima di tutto dalla necessità e dalla speranza di conquistare spazi importanti, per bacino di utenza e pubblico, come New York e Chicago dove la popolazione delle relative aree metropolitane possano essere incentivate ad assistere una partita dal vivo.
Successivamente dall’accaparrarsi le prestazioni di giocatori capaci e “influencer” come ad esempio Brodie Smith, un giocatore di Ultimate proveniente dall’Università della Florida, che ha già vinto due USA Ultimate College Championships, nel 2006 e nel 2010, e due National Club Championships, nonché con all’attivo numerosissimi follower su Youtube che assistono ai suoi trick shot (ad oggi siamo saliti a 2,2 milioni).
Ebbene, tutte queste indicazioni condivise dal giornalista che possono essere interpretate come preziose linee guida per incrementare l’appeal della AUDL, nel giro di poco si fanno realtà. Brodie Smith esordisce con i Indianapolis AlleyCats e l’anno successivo alla Lega si iscrivono sia i New York Empire che i Chicago Wildfires.
Parallelamente la Major League Ultimate (MLU), una seconda Lega professionistica nata nel 2013 per l’iniziativa dei Philadelphia Spinners, una squadra secessionista dalla AUDL per cause organizzative, è il secondo tentativo, oggi abortito, di creare un movimento Pro.
La brillante novità, nata questa volta da una volontà interna al movimento e per questo apparentemente più consono ai valori originari di Ultimate, sembra debba immediatamente surclassare la malvista Lega rivale nata l’anno prima.
L’esperimento dura poco e quando i migliori giocatori iniziano a lasciare la MLU, a causa del controllo autocratico dell’organizzazione, in direzione AUDL la sceneggiatura cambia nuovamente.
L’AUDL inizia a macinare consensi sempre più ampi in linea con i valori e le personalità della maggior parte dei giocatori e, altrettanto importante, con le regole dell’integrità espresse dallo Spirit of the Game.
La MLU chiude definitivamente i battenti nel 2016.
Dalla stagione inaugurale del campionato, si sono aggiunte 24 nuove squadre in totale a fronte di 10 team che hanno ritirato i loro diritti. Solo due delle otto squadre originali rimangono in campionato (gli Alleycats di Indianapolis e i Mechanix di Detroit).
L’AUDL utilizza Discraft Ultrastar da 175 grammi come disco ufficiale del gioco.
The Rules They are a-changin’
Nel corso degli ultimi anni le regole di Ultimate stanno cambiando per ottenere uno stile di gioco più fluido e rapido, un po’ più televisivo e in linea con le esigenze di un pubblico pagante che vuole vedere uno spettacolo corretto, coerente ma snello.
In linea abbastanza generale esistono due serie principali di regole per le massime competizioni riconosciute nel mondo che nella maggior parte dei casi portano ovviamente allo stesso risultato, ma ci sono alcune differenze. Da un lato le USA Definitive Rules, applicate negli Stati Uniti e in Canada e dall’altro il Regolamento WFDF, usato altrove compreso nei Campionati del mondo.
Negli Usa quindi i campi sono leggermente più grandi e le end zone più piccole. Le partite sono definite in base al tempo (quattro quarti di 12 minuti ciascuno) anziché dal punteggio. Il tempo si stoppa allo scadere del cronometro e non alla fine del punto. Più potere decisionale agli arbitri, penalità più severe, consentire la doppia squadra ma non la squadra tripla, il conteggio dello stalling (il tempo in cui si può rimanere con il disco in mano muovendo solo il piede perno) è di sette secondi anziché di dieci e così via.
Oltre a ciò, la AUDL è una lega in continua mutazione ed espansione. Nel 2012, al momento dell’atto costitutivo dell’American Ultimate Disc League sono otto le squadre ai blocchi di partenza. Nel corso delle sette stagioni successive la lega è cresciuta fino a raggiungere i ventuno team in competizione, comprendendo sia il territorio degli Stati Uniti che il Canada.
Come parte della visione a lungo termine della Lega sulla crescita del movimento, sia numericamente che economicamente, attualmente ci sono piani di espansione per acquisire diritti societari nelle aree metropolitane di Boston, Portland e Kansas City. L’AUDL è alla ricerca di persone motivate a investire nel business per aiutare a espandere la Lega, di proprietari e di direttori generali, anche provenienti da altre tipologie di business o o di sport in grado però di portare know how e generare interesse.
I diritti sul territorio sono già stati garantiti nella città più importante del Massachusset (dove, ricordiamo, tutto è nato) ovvero Boston e nell’Oregon a Portland a gruppi di società e proprietari interessati; non a caso nell’agosto del 2019 l’AUDL e l’azienda Deschutes hanno firmato un accordo in cui il decimo birrificio artigianale più grande di tutti gli Stati Uniti è diventata Partner nonché birra ufficiale del campionato 2020. La Deschutes ha sede proprio a Portland.
Il territorio di Kansas City è invece attualmente aperto e stanno cercando potenziali investitori.
Il finanziamento dei team provengono da fonti simili a quelle di altri sport professionistici come la vendita di biglietti, il merchandising, varie concessioni e sponsorizzazioni.
Nell’ottica WEST-EAST tipica degli sport americani, è comunque ancora netto lo sbilanciamento fra le due macroaree degli Stati Uniti. Ad oggi solo sei squadre – smistate tutte tra la West e la South division – hanno sedi in altrettante città a ovest del Mississippi. Contro le sedici che animano le tre division alla destra del popolare fiume che sfocia a New Orleans. Resta insomma una vastissima popolazione di americani da raggiungere con l’amato flying disc.
Visti i numeri di partenza, d’altro canto, è altrettanto notevole l’espansione dell’AUDL in territorio canadese con ben 3 città, Ottawa, Toronto e Montreal coinvolte a sostenere economicamente e numericamente la Lega.
Tutto, Covid-19 permettendo, fa sperare in un movimento professionistico in grado di crescere sfruttando soprattutto il bacino d’utenza delle università, vero centro di formazione e diffusione dell’Ultimate e dello Spirit Of The Game, a patto di mantenerlo inalterato e non creare uno iato troppo faticoso da rimarginare a causa del modellamento a nuove regole ed esigenze di business e quindi incrinare a suon di compromessi l’originario SOTG.